martedì 28 febbraio 2017

Il ruolo del preposto nella sicurezza sul lavoro



Quando si parla del ruolo di preposto si intende far riferimento ad un modello di comportamento che soddisfa le esigenze e le aspettative provenienti, ad esempio, dai superiori gerarchici, dagli specialisti (progettisti, pianificatori della produzione, ecc.), dal personale del proprio reparto, dalle rappresentanze sindacali, dal responsabile del servizio prevenzione, ecc..
La situazione conflittuale tra produzione e sicurezza influenza pesantemente il ruolo del preposto in quanto questi tende ad assumere il ruolo di gestore del citato conflitto. Infatti, un caporeparto, ad esempio, con il suo comportamento sul lavoro, determina il raggiungimento o meno dei due obiettivi dell’organizzazione aziendale risultando, in particolare, un attore fondamentale in riferimento a quello che è il reale livello di sicurezza e tutela della salute all’interno del proprio reparto.

La sua posizione nella struttura organizzativa, per quanto riguarda la comunicazione interna, lo configura come un elemento nodale attraverso cui passa tutto un flusso di informazioni (dall’alto verso il basso e viceversa) e dove vengono prese delle decisioni (sulla base delle informazioni in suo possesso) che influenzano notevolmente sia l’obiettivo produttivo che quello “sicurezza”. In altre parole, il preposto del reparto diventa sia il fiduciario (colui che deve attuare) che il garante (colui che assicura) del raggiungimento di entrambi gli obiettivi dell’organizzazione aziendale.

Il preposto, per interpretare correttamente il proprio ruolo, deve soddisfare le esigenze e le aspettative provenienti da una gamma di “clienti” interni ed esterni. Fin qui nulla di anormale se queste pressioni fossero sempre orientate nella stessa direzione. Purtroppo, però, non è assolutamente così.

Infatti, per quanto riguarda la sicurezza e la tutela della salute, un caporeparto è sottoposto a pressanti richieste provenienti, ad esempio, dal direttore di stabilimento ed inerenti il mantenimento delle condizioni di sicurezza sia per le macchine, le attrezzature e gli impianti sia per il comportamento degli addetti (rispetto procedure di lavoro, uso dei dispositivi di protezione, ecc.). Il personale posto sotto il suo diretto controllo, invece, gli invia continuamente messaggi, non sempre verbali, diretti a sensibilizzarlo verso una maggiore attenzione alla loro integrità psicofisica. Contemporaneamente riceve sollecitazioni dal proprio superiore affinché raggiunga gli obiettivi produttivi fissati.
Anche dall’esterno un caporeparto riceve delle altre pressioni; queste derivano sia dalle responsabilità sociali che il ruolo gli affida sia dalle responsabilità che le leggi e le norme in genere gli attribuiscono.

Quindi, il modo con cui, ad esempio, un caporeparto soddisfa questo tipo di esigenze e di aspettative, rappresenta il modello adottato per affrontare e risolvere il conflitto tra produzione e sicurezza nel reparto posto il suo diretto controllo.

Entrando nel merito, il comportamento del preposto dovrebbe tendere verso la continua ricerca dell’equilibrio tra le pressioni per il raggiungimento dell’obiettivo “produzione” e le esigenze derivanti dalla necessità di mantenere standard adeguati per tutelare l’integrità psicofisica del personale. Dunque, il preposto dovrebbe adottare, tenendo conto delle risorse (umane, economiche e tecnologiche), dei comportamenti che tendano di massimizzare nel tempo i risultati produttivi (raggiungimento degli obiettivi fissati) senza creare situazioni di rischio non controllabili.

L’adozione di questo tipo di comportamento da parte del preposto, si riflette pienamente nel ruolo o, meglio, nei ruoli che egli stesso dovrà svolgere e cioè:
- controllore dei comportamenti a rischio e delle situazioni pericolose,
- gestore delle problematiche inerenti la sicurezza e la tutela della salute,
- catalizzatore dei comportamenti orientati alla sicurezza e alla tutela della salute.

martedì 21 febbraio 2017

Acustica edilizia, ambientale e tecnico competente: revisione normativa in attuazione della L. 161/2014



Approvati in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 17/02/2017 due decreti in tema di acustica edilizia e ambientale, in attuazione della delega recata dalla L. 161/2014. I testi approvati riguardano: rumore derivante da infrastrutture di trasporto ed agglomerati urbani e tecnico competente, macchine ed attrezzature destinati a funzionare all’aperto. Novità importanti anche per la figura del “tecnico competente” in acustica. Non approvato invece il terzo decreto previsto, in tema di requisiti acustici passivi degli edifici, per il quale è pertanto scaduta la delega.

La L. 30/10/2014, n. 161 (cd. “Legge europea 2013-bis”) reca all’art. 19 disposizioni di delega al Governo per il riordino dei provvedimenti normativi vigenti inerenti la tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico prodotto dalle sorgenti sonore fisse e mobili. In particolare, la disposizione elenca una serie di principi e criteri direttivi per l’adozione di decreti legislativi al fine di semplificare ed aggiornare al progresso tecnologico la normativa nazionale vigente, nonché di renderla maggiormente coerente con talune prescrizioni previste dalla disciplina europea.

In base alla predetta delega sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio di Ministri il 17/02/2017 i testi dei relativi provvedimenti, che hanno pertanto concluso il loro iter e sono ora in attesa di essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Si tratta di due schemi di decreti legislativi recanti rispettivamente:
  • armonizzazione della normativa nazionale in materia di inquinamento acustico derivante da infrastrutture di trasporto e grandi ambienti urbani e revisione della disciplina del “tecnico competente” in acustica (criteri di delega di cui all'art. 19, comma 1, lettere a), b), c), d), e), h));
  • adeguamento della normativa nazionale in materia di inquinamento acustico delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare all’aperto (criteri di delega di cui all'art. 19, comma 1, lettere i), l), m)).
Non è stato approvato invece un terzo provvedimento inizialmente annunciato - relativo alla semplificazione delle procedure autorizzative in materia di requisiti acustici passivi degli edifici (criterio di delega di cui all'art. 19, comma 1, lettera g)) - per il quale quindi è stata fatta scadere la delega.

LE NORME NAZIONALI IN TEMA DI ACUSTICA EDILIZIA E AMBIENTALE

Per quanto riguarda la disciplina nazionale in materia, si ricorda in estrema sintesi che la tutela dell’ambiente dall’inquinamento acustico risale alla L. 26/10/1995, n. 447, che riguarda sia l’ambiente esterno che l’ambiente abitativo, in cui sono ricompresi anche i locali pubblici ma non l’ambiente lavorativo (per il quale il riferimento normativo di base è costituito dal Testo unico della sicurezza di cui al D. Leg.vo 81/2008), ed i relativi provvedimenti attuativi, tra cui si segnalano in particolare il D. P.C.M. 14/11/1997 (Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore) ed il D. P.C.M. 05/12/1997 (Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici).
Altri provvedimenti - in tema di: rumore derivante dai grandi ambienti urbani e dalle principali infrastrutture di trasporti (D. Leg.vo 194/2005, di recepimento della Direttiva 2002/49/CE); inquinamento acustico originato dall’esercizio delle infrastrutture aeroportuali e rumorosità degli aeromobili (D. Leg.vo 13/2005, di recepimento della Direttiva 2002/30/CE); emissione acustica ambientale delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare all’aperto (D. Leg.vo 262/2002, di recepimento della Direttiva 2000/14/CE) - sono stati in seguito emanati a completare il quadro attualmente vigente.

LA DELEGA DISPOSTA DALLA L. 161/2014

La delega prevista dalla L. 161/2014 al riordino della materia è finalizzata ad assicurare la completa armonizzazione della normativa nazionale in materia di inquinamento acustico con Direttiva 2002/49/CE e con la Direttiva 2000/14/CE.
Segue una breve sintesi dei principali criteri specifici di delega, in base ai quali saranno emanati i decreti legislativi:
  • coerenza degli strumenti di intervento e pianificazione (piani di azione e mappature acustiche);
  • recepimento nell’ambito della normativa nazionale dei descrittori acustici diversi da quelli disciplinati dalla L. 447/1995 e introduzione dei relativi metodi di determinazione a completamento e integrazione di quelli introdotti dalla medesima legge;
  • armonizzazione della normativa nazionale relativa alla disciplina delle sorgenti di rumore delle infrastrutture dei trasporti e degli impianti industriali;
  • adeguamento della normativa nazionale alla disciplina della rumorosità prodotta nell’ambito dello svolgimento delle attività sportive;
  • adeguamento della normativa nazionale alla disciplina della rumorosità prodotta dall’esercizio degli impianti eolici;
  • semplificazione delle procedure autorizzative in materia di requisiti acustici passivi degli edifici;
  • adeguamento della disciplina dell’attività e della formazione della figura professionale di tecnico competente in materia di acustica.

SINTESI DEI DECRETI LEGISLATIVI IN CORSO DI EMANAZIONE

 Si riporta di seguito una sintesi dei principali contenuti dei provvedimenti approvati.
Inquinamento acustico da infrastrutture di trasporto e ambienti urbani e tecnico competente in acustica. Il provvedimento introduce varie modifiche al D. Leg.vo 194/2005 ed alla L. 447/1995, prevedendo in estrema sintesi quanto segue:
- introduzione di una nuova disciplina dettagliata, ed uniforme su tutto il territorio nazionale, del “tecnico competente” in acustica ambientale, con puntuale indicazione dei titoli di studio richiesti, di contenuti ed articolazione dei corsi di formazione (almeno 180 ore di cui almeno 60 di esercitazioni pratiche) e di aggiornamento (almeno 30 ore ogni 5 anni, distribuite in un arco di almeno 3 anni). La disciplina si applicherà da subito in tutte le regioni, fatte salve le domande già presentate ed i corsi già avviati;
- nel caso di infrastrutture di interesse nazionale, compresi gli aeroporti principali, le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto, trasmettono la mappatura acustica entro il 30/06/2017, e successivamente ogni 5 anni;
- negli stessi casi di cui al punto precedente le società e gli enti gestori di servizi pubblici di trasporto, trasmettono i piani di azione e le sintesi entro il 18/07/2018, e successivamente ogni 5 anni;
- istituzione di una sanzione pecuniaria amministrativa - compresa da Euro 30.000 e 180.000 per ogni mese di ritardo - nei confronti delle società ed enti gestori di servizi pubblici di trasporto o delle relative infrastrutture ricadenti negli agglomerati che non adempiono agli obblighi relativi all’elaborazione e trasmissione dei dati di pertinenza;
- nuovi termini entro i quali bisogna comunicare alla Commissione europea i dati riguardanti gli agglomerati, gli assi stradali e ferroviari principali, nonché gli aeroporti principali, le mappe acustiche strategiche le mappature acustiche e i piani d’azione;
- nella determinazione dell’impatto acustico di ciascuna infrastruttura di trasporto deve essere presa in considerazione la concorrenza di altre sorgenti rumorose di natura trasportistica, ai fini delle conseguenti azioni di pianificazione in caso di superamento dei pertinenti valori limite;
- gli obblighi per i gestori di infrastrutture dei trasporti, in merito alle azioni da attuare ai fini del contenimento del rumore, sorgono in caso di superamento dei valori limite stabiliti dai regolamenti previsti attuativi dell’art. 11 della L. 447/1995, per ciascuna tipologia di infrastruttura dei trasporti;
- introduzione di una apposita disciplina a tutela dall’inquinamento acustico avente origine dagli impianti di risalita a fune e a cremagliera, dagli eliporti, dal traffico marittimo nonché dagli impianti eolici, da adottare mediante regolamenti ministeriali;
- adeguamento della normativa nazionale alla disciplina del rumore prodotto dall’esercizio degli impianti eolici.

Inquinamento acustico da macchine e attrezzature funzionanti all’aperto. Il provvedimento introduce varie modifiche al D. Leg.vo 262/2002, prevedendo in estrema sintesi quanto segue:
- nuove modalità di individuazione del soggetto su cui ricadono gli obblighi destinati a chi immette in commercio macchinari o attrezzature oggetto della normativa;
- revisione della disciplina degli organismi di certificazione che svolgono le procedure di valutazione di conformità di macchinari e attrezzature, con individuazione dei requisiti minimi di attrezzature e risorse umane;
- apposita sanzione amministrativa pecuniaria per il soggetto che immette in commercio macchinari o attrezzature per i quali sia stato accertato il superamento dei livelli massimi di potenza sonora.


martedì 14 febbraio 2017

Presentato in Senato un DDL che prevede l'introduzione nel codice penale del reato di omicidio sul lavoro



Giovedì 9 febbraio 2017, presso la Sala Caduti di Nassirya di Palazzo Madama, si è tenuta la presentazione da parte dei senatori Giovanni Barozzino (Sinistra Italiana) e Felice Casson (Partito democratico) del DDL: “INTRODUZIONEDEL REATO DI OMICIDIO SUL LAVORO E DEL REATO DI LESIONI PERSONALI SUL LAVOROGRAVI O GRAVISSIME”.

Il disegno di legge di modifica del codice penale prevede pene fino a 18 anni. Punire più severamente chi provoca la morte nei luoghi di lavoro è questo il fine del disegno di legge presentato da Barozzino  e Casson. Sulla falsariga del dibattito sviluppatosi all’epoca dell’introduzione nel codice penale del reato di omicidio stradale, i proponenti vogliono fare luce sul dramma, spesso dimenticato, di tante famiglie che salutano al mattino il proprio caro che esce per andare al lavoro e lo ritrovano, morto, la sera.

In media, queste tragedie si ripetono più di due volte ogni giorno. Secondo l’Inail, nel 2015 (ultimo dato ufficiale comunicato dall’Istituto), i morti sul lavoro sono stati 694, mentre le denunce totali di infortunio mortale sono state 1.236. Per l’Osservatorio indipendente di Bologna sugli infortuni, nel 2016 i morti sono stati 641, se si contano soltanto gli incidenti avvenuti nei luoghi di lavoro, che salgono però oltre i 1.400 conteggiando pure i lavoratori morti in itinere, cioè durante il tragitto casa-lavoro. Una vera e propria strage.

«Il disegno di legge – spiega il senatore Barozzino, primo firmatario del ddl – si inserisce nel solco del Testo unico 81 del 2008 sulla sicurezza dei lavoratori, confermandone il dettato ma inasprendo le pene in caso di colpa cosciente. In sostanza, chi, consapevolmente, provoca la morte di un lavoratore, deve assumersene in pieno la responsabilità, anche sotto il profilo penale».

L’articolo 1 del disegno di legge, che va a modificare l’articolo 589 del codice penale, prevede la reclusione da due a sette anni per «chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sugli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali». Aggravi di pena sono previsti nel caso in cui il datore di lavoro non adempia all’obbligo di redigere il documento di valutazione dei rischi o non nomini il responsabile della sicurezza aziendale oppure, ancora, non comunichi all’Inail la natura delle lavorazioni svolte con i conseguenti rischi.

La pena è aumentata da 8 a 12 anni, qualora la morte sia stata causata da agenti fisici, sostanze pericolose o agenti biologici, come, per esempio l’amianto. Il carcere da 5 a 10 anni è invece previsto dal ddl se la morte del lavoratore è provocata da «strumenti non conformi», come, per esempio, i trattori senza arco di protezione (roll bar). Se a morire sono più persone, la pena può inoltre essere aumentata fino a un massimo di 18 anni.

Infine, il ddl introduce due nuove fattispecie di reato: l’omicidio sul lavoro in concorso con lo sfruttamento del lavoratore e l’assenza, da parte del datore di lavoro, dell’assicurazione sugli infortuni sul lavoro. «Un caso purtroppo frequente che colpisce due volte le vittime e le loro famiglie, che non possono nemmeno contare sul risarcimento del danno».

Fonte: Amblav

martedì 7 febbraio 2017

DVR adeguati ai fattori individuali



La prevenzione degli infortuni sul lavoro, dei problemi di salute e delle malattie professionali, deve essere l’obiettivo principale di qualunque piano di gestione della salute e sicurezza sul lavoro. Nel contesto dell’ invecchiamento della forza lavoro è fondamentale la prevenzione durante l’intera vita professionale, perché la salute delle persone in età avanzata è influenzata, tra l’altro, dalle condizioni di lavoro negli anni precedenti.

I giovani lavoratori di oggi sono i lavoratori anziani di domani. È essenziale, al di là del precetto normativo, adottare un approccio olistico alla gestione della salute e sicurezza sul lavoro, considerando il luogo di lavoro nel suo complesso nonché tenendo conto e occupandosi di tutti i fattori che possono avere un’influenza più o meno determinante. Questi includono la conciliazione tra vita professionale e familiare, la formazione e l’apprendimento permanente, lo sviluppo della carriera, la motivazione e la leadership. Un esempio di approccio olistico nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro è il concetto di capacità lavorativa. La capacità lavorativa è l’equilibrio tra le esigenze lavorative e le risorse individuali e tiene conto anche del contesto esterno al luogo di lavoro, compresa la famiglia e la società.
 
 Il contenuto, il carico e l’organizzazione del lavoro, nonché l’ambiente di lavoro e la comunità influiscono sulle esigenze lavorative, mentre le risorse individuali dipendono da salute, capacità funzionali, competenze, valori, atteggiamenti e motivazione. La leadership può influire sia sulle esigenze di lavoro che sulle risorse individuali, attraverso la motivazione e la promozione di un atteggiamento positivo e di valori solidi. Pertanto, la leadership svolge un ruolo importante nel bilanciare le esigenze di lavoro e le risorse degli individui. Il concetto di capacità lavorativa suggerisce la necessità di una sinergia nella gestione della salute e sicurezza sul lavoro tra le figure responsabili ed individuate dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i., che tenga conto di tutti gli aspetti che influiscono sul lavoro. La promozione di una buona capacità lavorativa richiede una buona leadership, la partecipazione dei lavoratori e la cooperazione tra il datore di lavoro o la dirigenza e i lavoratori e i loro rappresentanti.
 La valutazione dei rischi è un primo passo indispensabile per prevenire gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La legislazione relativa alla salute e sicurezza richiede che i datori di lavoro svolgano valutazioni dei rischi e sottolinea l’esigenza di «adattare il lavoro all’individuo» e l’obbligo per il datore di lavoro di «predisporre una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute sul lavoro, inclusi i rischi riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari» e stabilisce che «i gruppi a rischio particolarmente esposti devono essere protetti dagli specifici pericoli che li riguardano». La diversità e la sua gestione sul posto di lavoro sono attualmente questioni importanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro: tant’è che per più rischi è riportato l’obbligo di una valutazione che tenga conto dei cosiddetti “fattori individuali di rischio”. La valutazione del rischio in funzione dell’età dovrebbe prendere in considerazione le differenze tra gli individui, comprese le potenziali differenze nella capacità funzionale e nello stato di salute, oltre alle disabilità e alle problematiche legate al genere. Nel caso dei lavoratori giovani, occorre prendere in considerazione il loro sviluppo fisico e intellettuale, l’immaturità e la mancanza di esperienza. Nel caso dei lavoratori in età avanzata, occorre prestare maggiore attenzione alle situazioni che possono essere considerate a rischio maggiore, come il lavoro a turni, gli impieghi con un carico di lavoro fisico elevato e il lavoro in condizioni di caldo e freddo.
 Tuttavia, i lavoratori più anziani non sono un gruppo omogeneo e le differenze di capacità funzionale e salute tra gli individui aumentano con l’età. Nel processo di valutazione del rischio occorre tenere conto della diversità, concentrandosi sulla correlazione tra esigenze lavorative e capacità e stato di salute individuali. In questo modo, l’enfasi viene spostata dai gruppi specifici (di età) nel contesto professionale, al miglioramento delle condizioni di lavoro per tutti. Adattare il lavoro alle singole capacità, competenze e allo stato di salute (oltre ad altri fattori di diversità tra i lavoratori, come il genere, l’età, le disabilità, lo status di migrante ecc.) dovrebbe essere un processo dinamico e costante basato sulla valutazione del rischio durante l’intero arco della vita lavorativa. Se ciò si realizza allora il documento di valutazione dei rischi avrà davvero un significato in termini di miglioramento e prevenzione. Ciò comporta la considerazione delle caratteristiche legate all’età, compresi i potenziali cambiamenti nelle capacità funzionali e nello stato di salute, comporta l’esigenza di una valutazione del rischio che rispetti le diversità tra i lavoratori e che sia reale e non di un ideale luogo di lavoro.
 I cambiamenti nelle capacità funzionali possono essere affrontati, ad esempio, mediante l’utilizzo di attrezzature e di altre tecnologie di supporto per ridurre il carico di lavoro fisico; con un adeguato design ergonomico degli attrezzi, delle apparecchiature e dell’arredamento; con la limitazione delle manovre di sollevamento di carichi e delle attività fisiche impegnative; attraverso la formazione circa le tecniche adeguate di sollevamento e di trasporto; con una buona progettazione dell’ambiente di lavoro per ridurre al minimo la probabilità di cadute; con possibilità di recupero, ad esempio mediante pause più brevi e frequenti; tramite la ridefinizione del lavoro con la rotazione delle mansioni; con un’organizzazione del lavoro a turni, ad esempio utilizzando un «sistema di turni a rotazione rapida». Una corretta progettazione dell’ambiente di lavoro e dell’organizzazione del lavoro offre benefici a tutte le fasce d’età. Inoltre, nel contesto dell’invecchiamento della forza lavoro, sono sempre più importanti la riabilitazione e le politiche di sostegno per la ripresa del lavoro in seguito a malattia, quindi anche in questo ambito diventa elemento strategico la valutazione dei rischi per coloro che hanno una capacità lavorativa ridotta, o limitata proprio ai fini della ricollocazione.

Fonte: ASF Toscana