martedì 18 ottobre 2016

IL DVR EFFICACE



Uno dei principali rischi per la  valutazione dei rischi realizzata nei luoghi di lavoro è quello di nascere e svilupparsi sono come adempimento burocratico che guarda alla conformità normativa e non all’aderenza sostanziale ai concreti rischi lavorativi, come sottolinea il “ Manuale di autodifesa del datore di lavoro”, un documento elaborato dal Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza in Ambienti di Lavoro (SPISAL) che spesso deve “adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dalla normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro nei confronti di imprenditori che, in assoluta buona fede, pensavano di aver fatto tutto ciò che è necessario affidandosi a persone esperte, investendo risorse economiche anche notevoli senza ottenere i risultati attesi”.

Nel primo articolo di presentazione del manuale analizziamo quattro importanti affermazioni dello SPISAL:
- la valutazione dei rischi e la conseguente elaborazione del documento non sono burocrazia”;
- il documento diventa burocrazia quando lo si interpreta come “adempimento burocratico”;
- il documento di valutazione dei rischi non “serve” allo SPISAL (il documento di valutazione dei rischi “dovrebbe essere il modo corrente di gestire la sicurezza”, quindi deve “servire al datore di lavoro” e non allo SPISAL).


Un’altra affermazione decisa, che nasce dalle esperienze di vigilanza e dalle criticità riscontrate, è che il documento di valutazione dei rischi “non è ‘un esercizio di stile’. Chi lo scrive non è il legislatore”.
Lo SPISAL indica infatti che “spesso chi scrive i documenti, che dovrebbero essere l’esplicitazione della valutazione, si esprime con elaborate previsioni omnicomprensive e con prescrizioni generiche applicabili a svariate situazioni (a volte sono le stesse degli articoli del DLgs 81/08)”.

Ma se il legislatore si esprime in modo generico, “è giustificato dal fatto che espone una regola o un concetto che deve poi essere applicato in svariate realtà; chi decide le misure di prevenzione da utilizzare in un ambiente aziendale, ben individuato e caratterizzato per il tipo di lavorazione svolta, non può essere generico nei contenuti”.

Dunque non ha senso utilizzare nel DVR un linguaggio normativo, generico: ad esempio la legge può dire “che si adotteranno DPI idonei perché non elenca in modo esaustivo tutte le situazioni ma il datore di lavoro deve confrontare i rischi (quelli residui, dopo aver adottato le protezioni collettive) presenti nella sua azienda con le caratteristiche delle varie tipologie di DPI e poi deve individuare quelli idonei e adeguati per ciascuna situazione, caratterizzandoli secondo i criteri di marcatura CE in modo che sia poi facile acquistare quelli ‘giusti’”.

E sempre riguardo al modo di scrivere la valutazione, si sottolinea che è dunque inutile “riportare nel documento di valutazione dei rischi quello che dice la legge”. Riportare, anche quando non necessario, pedissequamente la normativa non solo è inutile, ma “comporta uno spreco di carta ed è dannoso perché riduce la fruibilità del documento che deve essere snello, agevole e facile da usare. Purtroppo, la proliferazione di pagine di questo tipo spesso serve soltanto a giustificare il costo di un documento che non vale ciò che viene fatto pagare al datore di lavoro”.

Un altro modo per snellire questi monumenti di carta è quello di evitare di “riportare in dettaglio nel documento di valutazione dei rischi il metodo di valutazione se questo è contenuto in una norma o in una linea guida validata”. Differentemente il metodo “deve essere descritto, anche in dettaglio, se non in qualche modo ‘validato’ poiché il datore di lavoro ha l’onere di dimostrarne l’idoneità allo scopo”.

Fonte:  SPISAL

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